Postato da alessio il
26 Gennaio, 2009
A due anni dalla loro memorabile esibizione Modenese, tornano gli statunitensi Uzi & Ari il prossimo 11 febbraio all’OFF di Modena.
Il tour europeo servirà al sestetto di Salt Lake City per presentare il loro secondo disco “Headworms” uscito sul finire del 2008 su Own Records.
Per chi li ha visti nel 2007, ma sopratutto per chi se li era lasciati scappare, il concerto del 11 febbraio è un evento imperdibile!
APERTURA ORE 22.00
Alcune recensioni dell’ultimo album…
ONDAROCK:
Uzi & Ari è il progetto del multistrumentista di Salt Lake City (Utah) Ben Shepard, alle prese con una graziosa fusione di alt-folk, elettronica e shoegaze intimista.
Fatto sta che, ora in compagnia di Beirut (“Wolf Eggs”), ora miscelato con la solennità pop degli Arcade Fire (“Patron Saints”), ora, ancora, tra le pieghe romantiche di certi Tarwater (“Papercuts”), il suono si arricchisce, via via, di piccole sfumature emozionali, lasciandosi modellare con la giusta dose di raffinatezza.
Immerso, quindi, in un piccolo microcosmo di storie così lontane eppure così vicine al sentire di ognuno di noi, Shepard sparge malinconia e speranza un po’ dappertutto, dipingendo su tele immaginarie il clamore dell’autunno che mette in soffitta i sogni dell’estate (la delicatissima title track), spingendoci al raccoglimento intorno a fuochi scoppiettanti che bruciano tutte le disperazioni possibili (“Hold Your Horses”).
Ma non è solo in questo mondo di visionario trasporto che il disco esaurisce la sua sincera ispirazione. Accanto alla fanfarina con la testa tra le nuvole di “Comforts” e all’upbeat trascinante di “Thumbsucker”, trova posto, infatti, quella “Missoula” che è il vero gioiello del disco, con la sua sintesi perfetta di introversione e furore sonico, tale da essere posizionata di diritto tra i brani migliori di questo 2008.
LOSINGTODAY:
Uzi & Ari è il progetto dell’americano Ben Shepard, che con questo ‘Headworms’ arriva al secondo album. Il primo qualcuno se lo ricorderà ancora, con quel scorrevole pop elettronico e quel cantato che molti hanno accostato ad un Thom Yorke giovane.
‘Headworms’ mantiene la stessa sostanza, la re-impasta e ne crea di nuova. “Wolf eggs” ad esempio è una solida canzone che implementa elemnti rock folk, almeno come ispirazione (penso a certi passaggi dei Midlake ad esempio), con l’elettronica di drum machine fuoriuscite da un laptop.
Poi ci sono pezzi come “Magpie’s monologue” e “Thumbsucker” dove invece l’elemento è puramente rock (volendo, siamo dalle parti di Death Cab for Cutie…).
La title track riporta invece al disco di debutto: più lenta e docile, sul tappeto sonoro formato da archi che filano e sezione ritmica minimale, la voce si permette qualche evoluzione in più.
Un ritorno gradito per Uzi & Ari, apprezzati anche nelle performance live per cui cercheremo di non perderceli a Febbraio quando passeranno in diversi palchi italiani.
INDIE FOR BUNNIES:
Il fascino è nel riverbero del ricordo. L’eco di cose passate che viene dal tocco di un oggetto, scuote chi l’ascolta. Ed in quest’ultima fatica di Ben Shepard la mente viene pizzicata da più di una sensazione.
Gli Uzi & Ari costruiscono una scatola magica rubando alla nebbia il segreto meccanismo della rarefazione, restituendo canzoni elettro-acustiche avvitate attorno a melodie più o meno centrate. E’ la cura dei dettagli, il prezioso smussare gli angoli, l’aggiunta ad esempio di parti di tromba o fruscii di violini in lontananza a conferire un sapore speciale al fragile mondo suonato dai sei musicisti di Salt Lake City. Ballate nate tra i solchi dei dischi di Notwist e Postal Service, si trasformano in fragili cristalli d’armonia anche grazie alla maliconica voce tremante di Shepard, che se da una parte ricorda le instabilità emotive di Thom Yorke, dall’altra rifugge qualsiasi affondo tragico-claustrofobico, marchio di fabbrica del leader dei Radiohead.
“Headworms” si trasforma lentamente nell’arredo mancante di un lento pomeriggio invernale, stretto in luci lattiginose alla ricerca vana di un mezzo raggio di sole, che stai certo, almeno per oggi, se ne rimarrà rintanato a più di seimila chilometri d’altezza. Così tutt’attorno si stende un velo opaco, un’indolenza che alterna slanci a torpori, concludendosi sempre in una carezza, in una folata di scirocco premuroso sulle guance. Tra una canzone e l’altra il disco fila via liscio, soffice e distaccato, eccellente musicoterapia d’accompagnamento durante la prossima pausa-tè. Niente di rivoluzionario, nulla che sposterà l’inclinazione dell’asse terrestre, ma solamente un album di buona fattura, un porto calmo dove affondare le proprie suggestioni, nell’attesa delle future, inevitabili tempeste. E di questi tempi non è cosa da poco.
SPUTNIKMUSIC:
It’s not hard to imagine Headworms as a soundtrack of summer nostalgia. Like a yellowed, grainy projector film found in an old vault of a family basement, capturing a happiness that existed once in the past… a small child toddling into the arms of her father along a beach…dull perhaps, with age, but filled with an embrace that’s hard to turn away from. Despite the double team name, Uzi & Ari is in fact the musical project of Salt Lake City’s talented multi-instrumentalist Ben Shepard. Named after Ben Stiller’s kids in The Royal Tenenbaums, Shepard’s latest musical incarnation features a lush but delicate mix of folksy-acoustic sounds, shoegaze ambience and electronic tinkering. While it sounds like a mouthful on paper, Shepard is a master (if not sometimes too good) at keeping his songs tight and focused, and Headworms glows because of it.
To get the elephant in the room out of the way early, Headworms sounds sort of like what Radiohead would if they took away some of the more rocky elements of their sound and threw in a stronger shoegaze influence. It’s nearly impossible to miss Shepard’s vocal similarity to Thom Yorke, with his seemingly flat but emotionally brewing voice – and that vibrato! Oh that simmering, warbling vibrato… Of course, while it’s not an exact carbon copy (Shepard’s voice is alot more down to earth and rusty, lacking Yorke’s powerful dynamism), listening to something like “Wolf Eggs” or “Patron Saints”, where Shepard stretches his voice most, it’s just hard not to cry out ‘omg Kid A!’ (but not quite as moving). Headworms even carries with it Radiohead’s awkward sense of intriguing melody - almost always catchy, but never conventional.
Yet to reduce Uzi and Ari to simply a Radiohead clone would be to totally miss Shepard’s own commanding songwriting ability. “Missoula” opens with the album’s trademark jangly, acoustic guitar lines and mellow beats, before diving into tension weaved mix of trumpets, strings and driving drums, all executed with a subtle grace that never comes off as overbearing – although sometimes Shepard’s refusal to completely let loose may make for some wandering minds while listening to this album. Still, songs like “Ghosts on your Windowstill”, with its bright accordions and lightly weaved strings make for a prancy, heartwarming listen, while “Thumbsucker’s” gorgeous, upbeat passages leave Shepard at his most exposed, crying out like a call to arms: “Lift up your voices now/they’re coming after usss”.
Songs here are intricately textured, with every beat, guitar line and chiming bell adding to their depth and strength – Little things like the light trumpeting on “Papercuts” are pulled off tastefully, while the string arrangements sprinkled throughout never fall into the trap of becoming excessively overproduced. Shepard also seems to have an insatiable love for wind chimed bells, giving the album an air of childlike innocence to match its lighthearted, uplifting spirit. Like baby bear’s porridge, everything here is all… just right. Almost. Sometimes Headworms comes off as too subtle, and a lack of hooks makes for lingering moments, that don’t quite catch catch.
And while it’d be nice to hear a little variation here and there, or even just a little oomph once in a while, Shepard’s latest musical creation actually thrives off its own subtlety, with emotion simmering every so lightly just below the surface. And even then, it probably just isn’t necessary to dig too deep – Headworms, after all, is mostly a collection of incredibly pretty songs, meant to wash over the air on a lazy summer day. The best part of all this being that while the album carries with it a fragile intimacy that so many strive for, its also surprisingly well fleshed out, with everything carrying a weight that many contemporaries could only wish for. A little gem crying out for love, Headworms is as breezy and as delicate as an old summer’s glow.